Nel regno del mistero: Il morso eterno
Simone Martini, (1284-1344), Guidoriccio da Fogliano, particolare con il Castello di Montemassi, affresco, 1328.
Siena, Palazzo Pubblico, Sala del Mappamondo.
Giulio e Samuele hanno scritto questo racconto, prendendo spunto dal romanzo di Bram Stoker ( 1847-1912 ) "Dracula, il vampiro" e dal romanzo di Alessandro Manzoni (1785- 1873) "I promessi sposi".
“Il volto aquilino; il naso sottile con una gobba pronunciata e narici stranamente arcuate; le folte sopracciglia, quasi si congiungevano sul naso, e i ciuffi parevano arricciarsi tanto erano abbondanti. La bocca, per quel che si scorgeva sotto i folti baffi, era rigida e con un profilo quasi crudele. I denti bianchi e stranamente aguzzi, sporgevano dalle labbra il colore acceso rivelava una vitalità stupefacente per un uomo dei suoi anni. Le orecchie erano pallide, appuntite; il mento ampio e forte, le guance sode anche se scavate. Tutto il suo volto era soffuso d’un incredibile pallore. Alla luce della fiamma avevo già osservato il dorso delle mani appoggiate sulle ginocchia, e mi erano sembrate piuttosto bianche, esili; ma vedendole ora più da vicino, non ho potuto fare a meno di notare che erano mani piuttosto rozze, larghe con le dita a spatola. Strano a dirsi, c’erano peli al centro del palmo. Le unghie erano allungate e sottili tagliate a punta. Mentre il conte si sporgeva verso di me e le sue mani mi toccavano, non ho potuto reprimere un brivido.”
“I miei sentimenti si sono mutati in repulsione e terrore quando ho visto tutto il corpo emergere lentamente dalla finestra e cominciare a strisciare lungo il muro del castello, sospeso su quell’orrido a faccia in giù”. (da Dracula, il vampiro)
Il Castello della morte era in una valle angusta, sulla cima di un poggio che sporge in fuori da un’aspra catena di monti, ed è, non sappiamo bene, se congiunto ad essa o separato da un mucchio di massi e dirupi, e da un andirivieni di tane e precipizi, che si prolungano anche dalle due parti- (da I promessi sposi).
Il morso eterno
-Il Castello della morte era in una valle angusta, sulla cima di un poggio che sporge in fuori da un’aspra catena di monti, ed è, non sappiamo bene, se congiunto ad essa o separato da un mucchio di massi e dirupi, e da un andirivieni di tane e precipizi, che si prolungano anche dalle due parti. Quella che guarda lavalle è la sola praticabile; un pendio piuttosto erto, ma uguale e continuato, a parti in alto, nelle falde e nei campi, sparsi qua e là di casucce. In fondo un letto di ciottoli, dove scorre un rigagnolo o torrente, rispetto alla stagione: allora serviva da confine ai due stati. Le cime opposte, che formano, per così dire, l’altra parte della valle, hanno anch’esse un po’ di falda coltivata; il resto è schegge e macigni, erte ripide, senza strade e nude, meno qualche cespuglio nelle fenditure e sui ciglioni.
Dall’alto del castellaccio, come l’aquila dal suo nido insanguinato, il selvaggio signore dominava all’intorno tutto lo spazio dove piede d’uomo potesse posarsi, e non vedeva mai nessuno al di sopra di sé, ne più in alto. Dando un’occhiata in giro scorreva tutto quel recinto, i pendii, il fondo, le strade praticate là dentro. Quella che, a gomiti e a giravolte, saliva a terribile domicilio, si spiegava davanti a chi guardasse di lassù, come un nastro serpeggiante: dalle finestre, dalle feritoie, poteva il signore contare a suo bell’agio i passi di chi veniva, e puntargli le armi contro, cento volte.
Del resto, non che lassù, ma neppure nella valle, e neppur di passaggio ardiva metter piede nessuno che non fosse ben visto dal padrone del castello”.
Si raccontavano le storie tragiche degli ultimi che avevano voluto tentar l’impresa; ma erano già storie antiche e nessuno dei giovani si ricordava di aver visto nella valle qualche avventuriero vivo o morto.
In un paese vicino viveva un servitore che, stanco dello strapotere del suo padrone, decise di ucciderlo. Compiuto l’omicidio, l’uomo fu processato, condannato a morte e rinchiuso nel "Castello della morte", soprannominato così dal popolo, perché mai nessuno era ritornato per raccontare cosa vi fosse all’interno.
In quel castello c’era una presenza malvagia, sulla quale erano nate molte leggende, ma nessuno conosceva la verità… Una volta chiuso all’interno del castello, il condannato iniziò ad esplorarlo e si trovò in enormi corridoi e in grandissime sale oscure che anche se ben arredate, dimostravano che erano state abbandonate da molto tempo. L’uomo si sistemò in una delle stanze più piccole e meno lussuose per trascorrere la notte, ma le ore passavano molto lentamente ed egli era sempre più sopraffatto dalla paura. Giunse mezzanotte e mentre era a letto, udì dei rumori, simili a passi che si dirigevano verso la sua stanza. Impaurito e sconvolto si nascose sotto il letto.Con un cigolio sinistro e stridulo, la porta si socchiuse. Il condannato non potè vedere chi era entrato, ma guardando il muro diroccato della stanza, vi vide proiettatal’ombra di un uomo, creata dal candelabro che aveva acceso. Non ebbe il coraggio di uscire e passò la notte nascosto sotto il letto. L’indomani, deciso a scoprire chi era entrato nella sua stanza, andò alla ricerca dell’uomo che l’aveva terrorizzato.
Lo cercò per tutto il giorno e in tutte le stanze del castello, ma non lo trovò; verso sera arrivò a una porta che portava nello scantinato. “Scese, badando bene a dove poggiava i piedi perché le scale erano buie, illuminate solo dalle feritoie che si aprivano nello spessore del muro. In fondo c’era un corridoio buio una specie di galleria, dalla quale proveniva un odore mortifero, nauseabondo odore di vecchia terra mossa da poco. Mentre percorreva il corridoio l’odore si faceva più vicino, più pesante. Giunto in fondo ad esso spalancò una grande porta socchiusa e si trovò in una vecchia cappella in rovina, che doveva essere stata usata come cimitero. Il tetto era venuto giù, e in due punti c’erano dei gradini che portavano alle cripte. Non c’era nessuno in giro”. “Procedendo, arrivò in una sala dove si trovavano delle bare disposte a semicerchio. Quella centrale posta su un altarino in pietra grezza, era aperta. Il condannato si avvicinò e scorse al suo interno il corpo di un uomo vestito con abiti neri ed un mantello:Il volto aquilino; il naso sottile con una gobba pronunciata e narici stranamente arcuate; le folte sopracciglia, quasi si congiungevano sul naso, e i ciuffi parevano arricciarsi tanto erano abbondanti. La bocca, per quel che si scorgeva sotto i folti baffi, era rigida e con un profilo quasi crudele. I denti bianchi e stranamente aguzzi, sporgevano dalle labbra, il colore acceso rivelava una vitalità stupefacente per un uomo dei suoi anni. Le orecchie erano pallide, appuntite; il mento ampio e forte, le guance sode anche se scavate. Tutto il suo volto era soffuso d’un incredibile pallore. Alla luce della fiamma aveva già osservato il dorso delle mani appoggiate sulle ginocchia, e gli erano sembrate piuttosto bianche, esili; ma vedendole ora più da vicino, non potè fare a meno di notare che erano mani piuttosto rozze, larghe con le dita a spatola. Strano a dirsi, c’erano peli al centro del palmo. Le unghie erano allungate e sottili tagliate a punta”. Il condannato guardò il suo volto e vide che dalle labbra spuntavano due lunghi canini. All’improvviso si ricordò di un racconto letto anni prima, un’incredibile storia raccontata dallo scrittore Bram Stoker…capì allora che si trattava di un vampiro. Indietreggiò di alcuni passi, per sottrarsi a quella vista incredibilmente reale, non riuscendo ancora a capacitarsi di ciò che stava accadendo. Non aveva ancora concluso questo pensiero che si udirono i rintocchi di mezzanotte e sentì chiudersi la porta con un violento rumore. Con un cigolio stridulo, come quello che aveva udito la notte precedente, una dopo l’altra le bare si aprirono e uscirono da esse vampiri, dalla pelle verdastra e in via di decomposizione. L’uomo, sentendosi in trappola, afferrò con un gesto disperato una palanca di legno che giaceva a terra e cominciò a colpire quegli esseri maligni, ma si accorse purtroppo che tutto era inutile. Circondato e immobilizzato da quelle creature mostruose, vide che dalla bara centrale si alzava il cadavere che aveva visto al suo arrivo nella stanza, la sera precedente, e che si dirigeva verso di lui: “ di aspetto era più giovane, con i capelli bianchi e baffi grigio ferro; le guance erano più sode, la bianca pelle era dolcemente rosata; la bocca più rossa che mai, perché sulle labbra c’erano gocce di sangue fresco, che colava dagli angoli, scendendo lungo il mento e il collo. Persino gli occhi incavati e brucianti sembravano incastonati in carni più turgide, giacché le palpebre e le borse sotto gli occhi erano rigonfie. Pareva che quell’orrida creatura fosse completamente ricolma di sangue; se ne stava lì, come una schifosa sanguisuga, tanto sazia da essere esausta”. “L’ultima immagine fu quel volto rigonfio, sporco di sangue, fisso in quel ghigno malvagio che tale sarebbe stato, anche all’inferno”.
Quando lo raggiunse, lo guardò negli occhi e si avvicinò al suo collo con la bocca spalancata. L’uomo poté vedere per un solo istante i denti del vampiro sporchi di sangue che si allungavano; sentì l’alito di quel mostro sul suo collo prima di lanciare un ultimo gemito di dolore all’affondare dei canini.
La metamorfosi
Dopo il morso sentì come se una forza gli uscisse dal petto e in pochi secondi i suoi denti divennero più aguzzi, la sua pelle più verdastra e cominciò a sentire un nuovo bisogno, quello di sangue e quelle creature che lo avevano terrorizzato, ora le sentiva come suoi simili: era diventato uno di loro.
E voi, amici, cosa aspettate a creare i vostri racconti?
Anna Lanzetta