sabato 5 gennaio 2013




La notte magica

È  la notte dei desideri, una notte magica dove i sogni prendono forma tra speranze di carezze, di baci, d’amore.

Si allunga una mano speranzosa di trovare il dono tanto atteso, chissà se una mano misericordiosa esaudirà la speranza di ogni bimbo in ogni angolo del mondo, che stenta un velo etereo sull’infanzia fatto di amore e di speranza in un mondo migliore.

Buonanotte bambini, anche nella grotta un bimbo dorme e sogna un regalo bellissimo: che in ogni cuore scenda giulivo un canto di pace, un inno d’amore, una melodia, una dolce Ninna nanna.



giovedì 27 dicembre 2012

L’ammazza draghi

C’era una volta, tanto tempo fa, un paese lontano, lontano, infestato da draghi feroci, che infuocavano ogni cosa che gli capitava a tiro. Così andò per centinaia di anni.
I contadini erano sfiniti e arrabbiati.
Un giorno arrivò un cavaliere temerario. Il nobile cavaliere fece un patto con il re: avrebbe ricevuto 100 monete d’oro per ogni drago ucciso.
Così il cavaliere partì alla ricerca dei draghi.
 


 Arrivato in cima alla montagna di bava trovò un grosso, anzi un enorme rettile squamoso, verdastro che puzzava di zolfo e sputava fuoco.
Il drago continuava a dormire nonostante al cavaliere fosse cascata la spada mentre la sfoderava.
Il cavaliere raccolse la spada e in quel momento il drago si svegliò.




Il cavaliere, pronto a tutto, alzò lo scudo e parò le potenti fiamme del drago; spiccò un balzo e, facendo il giro della morte, conficcò la spada nel poderoso torace del drago.
Cento monete d’oro erano sue.
Nel villaggio non si parlava che di lui; era molto strano che un forestiero arrivato da non si sa dove uccidesse un ferocissimo drago.
Dopo qualche tempo, ricomparve un altro drago. Il cavaliere andò alla carica, ma questa volta il drago da uccidere era sulla montagna congelata.
Il nobile cavaliere partì per la fredda montagna e, arrivato in cima, sfoderò la spada. Questa volta non gli cascò, ma il drago era sveglio e il cavaliere gli disse:-Allora Scaracchia-scintille, ti fai ammazzare con le buone o ti ammazzo con le cattive?–
Il drago ruggì e sputò fuoco, ma il cavaliere corse sulla parete della grotta e gli conficcò la spada nel cranio.
E ne aveva altre cento di spade, per combattere molte altre volte.
Il Re chiamò il cavaliere e, non potendo sapere come ricambiare i suoi nobili gesti, gli diede in sposa sua figlia.
Il cavaliere accettò e così vissero felici e contenti.



Matteo

Cari amici, volete sapere come è nato questo racconto? Un giorno Anna mi mostrò il quadro di W. Kandinskj Il cavaliere azzurro. Mi piacque molto e guardandolo attentamente scrissi il mio racconto.
Cercate il quadro e osservatelo anche voi, forse….

domenica 18 novembre 2012






Elena ha disegnato questo paesaggio e lo ha definito gotico, sapresti dire perchè?

Guarda attentamente e individua gli elementi che lo compongono.

Quali sono i colori predominanti? Quale elemento ti colpisce di più?
Sapresti creare un racconto prendendo spunto da questo disegno?

Mi piacerebbe molto leggerlo.

Anna Lanzetta
Responsabile della sezione didattica
Associazione culturale MultiMedia91

sabato 6 ottobre 2012



La poesia in arte

Il  lampo

E cielo e terra si mostrò qual era:

la terra ansante, livida, in sussulto;
il cielo ingombro, tragico, disfatto:
bianca bianca nel tacito tumulto     
una casa apparì sparì d'un tratto;
come un occhio, che, largo, esterrefatto,
s'aprì si chiuse, nella notte nera





Il tuono

E nella notte nera come il nulla,
a un tratto, col fragor d'arduo dirupo
che frana, il tuono rimbombò di schianto:
rimbombò, rimbalzò, rotolò cupo,
e tacque, e poi rimareggiò rinfranto,
e poi vanì. Soave allora un canto
s'udì di madre, e il moto di una culla.

Temporale

Un bubbolio lontano...
Rosseggia l'orizzonte,
come affocato, a mare;
nero di pece, a monte,
stracci di nubi chiare:
tra il nero un casolare:
un'ala di gabbiano.

Giovanni Pascoli (San Mauro di Romagna, 1855-Bologna, 1912), da Myricae

Cari amici sapevate che  una poesia si può rappresentare?. Vi piace il disegno di Elena?
Elena ha rappresentato col disegno le poesie di Pascoli, perché non ci  provate  con  la poesia che più vi piace?.
Se volete, potete inviarci il vostro disegno con il testo della poesia scelta.
Ricordate che il colore è molto importante!.

annalanzetta@libero.it


mercoledì 26 settembre 2012



Nel regno  del mistero: Il morso eterno




Simone Martini, (1284-1344), Guidoriccio da Fogliano, particolare con il Castello di Montemassi, affresco, 1328.
Siena, Palazzo Pubblico, Sala del Mappamondo.

Giulio e Samuele hanno scritto questo racconto, prendendo spunto dal romanzo di Bram Stoker ( 1847-1912 ) "Dracula, il vampiro" e dal romanzo di Alessandro Manzoni (1785- 1873) "I promessi sposi".
 Il volto aquilino; il naso sottile con una gobba pronunciata e narici stranamente arcuate; le folte sopracciglia, quasi si congiungevano sul naso, e i ciuffi parevano arricciarsi tanto erano abbondanti. La bocca, per quel che si scorgeva sotto i folti baffi, era rigida e con un profilo quasi crudele. I denti bianchi e stranamente aguzzi, sporgevano dalle labbra il colore acceso rivelava una vitalità stupefacente per un uomo dei suoi anni. Le orecchie erano pallide, appuntite; il mento ampio e forte, le guance sode anche se scavate. Tutto il suo volto era soffuso d’un incredibile pallore. Alla luce della fiamma avevo già osservato il dorso delle mani appoggiate sulle ginocchia, e mi erano sembrate piuttosto bianche, esili; ma vedendole ora più da vicino, non ho potuto fare a meno di notare che erano mani piuttosto rozze, larghe con le dita a spatola. Strano a dirsi, c’erano peli al centro del palmo. Le unghie erano allungate e sottili tagliate a punta. Mentre il conte si sporgeva verso di me e le sue mani mi toccavano, non ho potuto reprimere un brivido.”
“I miei sentimenti si sono mutati in repulsione e terrore quando ho visto tutto il corpo emergere lentamente dalla finestra e cominciare a strisciare lungo il muro del castello, sospeso su quell’orrido a faccia in giù”. (da  Dracula, il vampiro)
Il Castello della morte era in una valle angusta, sulla cima di un poggio che sporge in fuori da un’aspra catena di monti, ed è, non sappiamo bene, se congiunto ad essa o separato da un mucchio di massi e dirupi, e da un andirivieni di tane e precipizi, che si prolungano anche dalle due parti- (da I promessi sposi).

Il morso eterno

-Il Castello della morte era in una valle angusta, sulla cima di un poggio che sporge in fuori da un’aspra catena di monti, ed è, non sappiamo bene, se congiunto ad essa o separato da un mucchio di massi e dirupi, e da un andirivieni di tane e precipizi, che si prolungano anche dalle due parti. Quella che guarda lavalle è la sola praticabile; un pendio piuttosto erto, ma uguale e continuato, a parti in alto, nelle falde e nei campi, sparsi qua e là di casucce. In fondo un letto di ciottoli, dove scorre un rigagnolo o torrente, rispetto alla stagione: allora serviva da confine ai due stati. Le cime opposte, che formano, per così dire, l’altra parte della valle, hanno anch’esse un po’ di falda coltivata; il resto è schegge e macigni, erte ripide, senza strade e nude, meno qualche cespuglio nelle fenditure e sui ciglioni.
Dall’alto del castellaccio, come l’aquila dal suo nido insanguinato, il selvaggio signore dominava all’intorno tutto lo spazio dove piede d’uomo potesse posarsi, e non vedeva mai nessuno al di sopra di sé, ne più in alto. Dando un’occhiata in giro scorreva tutto quel recinto, i pendii, il fondo, le strade praticate là dentro. Quella che, a gomiti e a giravolte, saliva a terribile domicilio, si spiegava davanti a chi guardasse di lassù, come un nastro serpeggiante: dalle finestre, dalle feritoie, poteva il signore contare a suo bell’agio i passi di chi veniva, e puntargli le armi contro, cento volte.
Del resto, non che lassù, ma neppure nella valle, e neppur di passaggio ardiva metter piede nessuno che non fosse ben visto dal padrone del castello”.
Si raccontavano le storie tragiche degli ultimi che avevano voluto tentar l’impresa; ma erano già storie antiche e nessuno dei giovani si ricordava di aver visto nella valle qualche avventuriero vivo o morto.
In un paese vicino viveva un servitore che, stanco dello strapotere del suo padrone, decise di ucciderlo. Compiuto l’omicidio, l’uomo fu processato, condannato a morte e rinchiuso nel "Castello della morte", soprannominato così dal popolo, perché mai nessuno era ritornato per raccontare cosa vi fosse all’interno.
 
 

In quel castello c’era una presenza malvagia, sulla quale erano nate molte leggende, ma nessuno conosceva la verità… Una volta chiuso all’interno del castello, il condannato iniziò ad esplorarlo e si trovò in enormi corridoi e in grandissime sale oscure che anche se ben arredate, dimostravano che erano state abbandonate da molto tempo. L’uomo si sistemò in una delle stanze più piccole e meno lussuose per trascorrere la notte, ma le ore passavano molto lentamente ed egli era sempre più sopraffatto dalla paura. Giunse mezzanotte e mentre era a letto, udì dei rumori, simili a passi che si dirigevano verso la sua stanza. Impaurito e sconvolto si nascose sotto il letto.Con un cigolio sinistro e stridulo, la porta si socchiuse. Il condannato non potè vedere chi era entrato, ma guardando il muro diroccato della stanza, vi vide proiettatal’ombra di un uomo, creata dal candelabro che aveva acceso. Non ebbe il coraggio di uscire e passò la notte nascosto sotto il letto. L’indomani, deciso a scoprire chi era entrato nella sua stanza, andò alla ricerca dell’uomo che l’aveva terrorizzato.
Lo cercò per tutto il giorno e in tutte le stanze del castello, ma non lo trovò; verso sera arrivò a una porta che portava nello scantinato. “Scese, badando bene a dove poggiava i piedi perché le scale erano buie, illuminate solo dalle feritoie che si aprivano nello spessore del muro. In fondo c’era un corridoio buio una specie di galleria, dalla quale proveniva un odore mortifero, nauseabondo odore di vecchia terra mossa da poco. Mentre percorreva il corridoio l’odore si faceva più vicino, più pesante. Giunto in fondo ad esso spalancò una grande porta socchiusa e si trovò in una vecchia cappella in rovina, che doveva essere stata usata come cimitero. Il tetto era venuto giù, e in due punti c’erano dei gradini che portavano alle cripte. Non c’era nessuno in giro”. “Procedendo, arrivò in una sala dove si trovavano delle bare disposte a semicerchio. Quella centrale posta su un altarino in pietra grezza, era aperta. Il condannato si avvicinò e scorse al suo interno il corpo di un uomo vestito con abiti neri ed un mantello:Il volto aquilino; il naso sottile con una gobba pronunciata e narici stranamente arcuate; le folte sopracciglia, quasi si congiungevano sul naso, e i ciuffi parevano arricciarsi tanto erano abbondanti. La bocca, per quel che si scorgeva sotto i folti baffi, era rigida e con un profilo quasi crudele. I denti bianchi e stranamente aguzzi, sporgevano dalle labbra, il colore acceso rivelava una vitalità stupefacente per un uomo dei suoi anni. Le orecchie erano pallide, appuntite; il mento ampio e forte, le guance sode anche se scavate. Tutto il suo volto era soffuso d’un incredibile pallore. Alla luce della fiamma aveva già osservato il dorso delle mani appoggiate sulle ginocchia, e gli erano sembrate piuttosto bianche, esili; ma vedendole ora più da vicino, non potè fare a meno di notare che erano mani piuttosto rozze, larghe con le dita a spatola. Strano a dirsi, c’erano peli al centro del palmo. Le unghie erano allungate e sottili tagliate a punta”. Il condannato guardò il suo volto e vide che dalle labbra spuntavano due lunghi canini. All’improvviso si ricordò di un racconto letto anni prima, un’incredibile storia raccontata dallo scrittore Bram Stoker…capì allora che si trattava di un vampiro. Indietreggiò di alcuni passi, per sottrarsi a quella vista incredibilmente reale, non riuscendo ancora a capacitarsi di ciò che stava accadendo. Non aveva ancora concluso questo pensiero che si udirono i rintocchi di mezzanotte e sentì chiudersi la porta con un violento rumore. Con un cigolio stridulo, come quello che aveva udito la notte precedente, una dopo l’altra le bare si aprirono e uscirono da esse vampiri, dalla pelle verdastra e in via di decomposizione. L’uomo, sentendosi in trappola, afferrò con un gesto disperato una palanca di legno che giaceva a terra e cominciò a colpire quegli esseri maligni, ma si accorse purtroppo che tutto era inutile. Circondato e immobilizzato da quelle creature mostruose, vide che dalla bara centrale si alzava il cadavere che aveva visto al suo arrivo nella stanza, la sera precedente, e che si dirigeva verso di lui: “ di aspetto era più giovane, con i capelli bianchi e baffi grigio ferro; le guance erano più sode, la bianca pelle era dolcemente rosata; la bocca più rossa che mai, perché sulle labbra c’erano gocce di sangue fresco, che colava dagli angoli, scendendo lungo il mento e il collo. Persino gli occhi incavati e brucianti sembravano incastonati in carni più turgide, giacché le palpebre e le borse sotto gli occhi erano rigonfie. Pareva che quell’orrida creatura fosse completamente ricolma di sangue; se ne stava lì, come una schifosa sanguisuga, tanto sazia da essere esausta”. “L’ultima immagine fu quel volto rigonfio, sporco di sangue, fisso in quel ghigno malvagio che tale sarebbe stato, anche all’inferno”.
Quando lo raggiunse, lo guardò negli occhi e si avvicinò al suo collo con la bocca spalancata. L’uomo poté vedere per un solo istante i denti del vampiro sporchi di sangue che si allungavano; sentì l’alito di quel mostro sul suo collo prima di lanciare un ultimo gemito di dolore all’affondare dei canini.

La metamorfosi
Dopo il morso sentì come se una forza gli uscisse dal petto e in pochi secondi i suoi denti divennero più aguzzi, la sua pelle più verdastra e cominciò a sentire un nuovo bisogno, quello di sangue e quelle creature che lo avevano terrorizzato, ora le sentiva come suoi simili: era diventato uno di loro.
 

E voi, amici, cosa aspettate a creare i vostri racconti?

Anna Lanzetta

domenica 16 settembre 2012




Cari amici, entriamo nel mondo del mistero
con i racconti gotici

 
Si può creare un racconto  leggendo un quadro e questo racconto ci è stato suggerito dalla lettura del dipinto “Abbazia nel
querceto” del pittore tedesco: G. D. Friedrich (Greifswald 1774 -Dresda 1840).





Caspar David Friedrich, L’abbazia nel querceto,
olio su tela. 1809. Berlino, Nationalgalerie.

La composizione  trasmette  un senso di desolazione. Gli alberi, spogli,  sono  come  lapidi di un cimitero intorno a ciò che resta di un’antica chiesa abbandonata;  i colori grigio-bruni creano  mistero e malinconia. La nebbia  unita  alla foschia non lascia vedere chiaramente l’orizzonte. Le croci del cimitero e gli alberi privi di vita sono diventati per noi simboli di morte.

Al funerale con gli spiriti
Jacobs era un arzillo sessantenne di buona famiglia che insegnava storia antica in una delle più famose università di Londra. Era rimasto vedovo all’età di trentotto anni. Sua moglie Jennifer era morta in circostanze misteriose durante uno scavo archeologico in un’antica chiesa medioevale, in Baviera. Alcune persone affermavano che la sua morte era stata opera di spiriti maligni, ma Jacobs non aveva mai voluto crederci e si era assunto tutte le responsabilità della morte della compagna.
Era il 21 gennaio del 1889 e quella mattina, Jacobs Simons stava bevendo il suo solito caffè delle nove, quando il campanello del suo piccolo appartamento nel centro londinese suonò ripetutamente. A suonare era stato un suo vecchio amico. Il professore lo fece accomodare e i due iniziarono a parlare:<<Caro Franklin, è da molto tempo che non ci vediamo, come stai? Qual buon vento ti porta qui?>>. <<Oh Jacobs, amico mio, purtroppo devo darti una cattiva notizia: è morto Alan Rivenal, il ricercatore con cui hai lavorato fino a un mese fa>>. Jacobs non riuscì a trattenere le lacrime: Alan, oltre ad essere il suo migliore amico, aveva lavorato molto tempo con sua moglie e quindi era l’unica persona che gli ricordava i tempi passati con la donna. Franklin continuò: <<Jacobs, Alan è morto, lavorando nella stessa chiesa in Baviera, dove Jennifer ha perso la vita>>. Jacobs, singhiozzando, esclamò:<< Ma come è possibile! Anche lui! Non sarebbero mai dovuti continuare quei maledetti scavi! Non può essere vero! Ti prego, dimmi che non è vero!>>. Anche Franklin stava per piangere, ma cercò di rimanere il più freddo possibile e continuò: <<Purtroppo è vero, amico mio, ma la cosa che ti farà dispiacere di più è che l’abbazia ormai è stata quasi completata e che i funerali si svolgeranno proprio lì, in memoria del morto>>. Franklin, consolò Jacobs, lo salutò e gli disse che si sarebbero rivisti al funerale.
Jacobs trascorse tutta la notte a pensare se andare al funerale, poichè quel posto gli ricordava troppe cose brutte ma l’amicizia che lo legava ad Alan era molto forte e decise quindi di partecipare, per dare l’ultimo saluto all’amico. Il giorno dopo partì e la sera arrivò in tempo per il funerale.
Era da poco tramontato il sole e il cielo era a metà tra un nero e un rossastro. Intorno all’abbazia c’era una nebbia fitta e scura, che nascondeva l’antico cimitero accanto al monastero e un vecchio querceto che, con i suoi alberi spogli su uno sfondo rossastro, dava un senso di desolazione e malinconia. L’abbazia in parte era ancora diroccata, ma il locale principale, dove si celebravano le messe, era in buone condizioni. L’antico portone di legno era grande e imponente e intimoriva qualsiasi persona. Le vetrate non erano molte ma bellissime: celesti con strisce argentee. Nonostante vi fossero tutti questi elementi splendidi, l’abbazia appariva tetra, misteriosa e austera, forse per la foschia nera che l’avvolgeva. Jacobs entrò in chiesa, si accomodò in prima fila, ma si sentì subito a disagio. La messa cominciò e per una decina di minuti si svolse tranquillamente. Nessuno riusciva a trattenere le lacrime, compreso Jacobs. Tutte le porte e le finestre erano chiuse, ma all’interno dell’abbazia circolava un vento freddo e umido, carico di malvagità. Improvvisamente tutte le candele e le altre fonti di luce si spensero. Il prete disse a tutti di stare calmi e accese il grande candelabro centrale. Le persone si guardarono intorno e si accorsero che l’acqua santa era diventata sangue, le vetrate argentee erano diventate nere e rosse e che dalle colonne, deformate da una forza malvagia, sgorgava sangue. Tutti furono presi dal panico, compreso Jacobs. Alcuni cercarono di uscire dalla porta principale, ma appena l’aprirono, videro che fuori non c’era più il vecchio querceto bensì l’inferno. Le persone, in un attimo, vennero risucchiate da un nero vortice infernale, e subito dopo, la porta si richiuse. Dagli angoli più bui dell’abbazia incominciarono a venir fuori ombre malefiche: erano gli spiriti delle persone morte in quell’abbazia, che aveva il potere di lasciare i defunti tra la vita e la morte sotto forma di fantasmi. Le ombre iniziarono a dare la caccia ai vivi, rimasti in chiesa, e a ucciderli barbaramente. Jacobs riuscì a rifugiarsi dietro l’altare e assistette impotente alla morte di molti suoi amici. Tra i vari spiriti ce n’era uno diverso: non era nero bensì bianco e candido e sembrava sperduto e a disagio fra tutta quella gente. Nelle sue movenze e nei suoi atteggiamenti Jacobs riconobbe quelli di sua moglie e senza paura gridò:<<Jenny, Jennifer, sono io, sono Jacobs, perché ti trovi in questo luogo?>>. Lo spirito si girò e i suoi occhi si illuminarono, si avvicinò velocemente a Jacobs e gli disse: <<Oh, Jacobs sei davvero tu, quanto ho sognato rivederti, tu devi salvarci; qui noi spiriti siamo costretti a vagare per l’eternità senza poter trovare la pace>>. Jacobs non voleva lasciare la moglie e replicò: <<Jennifer non ce la faccio più a stare senza di te, voglio rimanere qui!>> e la moglie gli rispose: <<No Jacobs, il tuo compito è quello di ridarci la pace. Un giorno ci rivedremo e resteremo per sempre insieme, ma quel giorno non è oggi. Prendi il calice per la comunione e la croce del prete e recita una preghiera in onore di Dio, io intanto terrò a bada gli altri spiriti>>. Jacobs annuì e andò a prendere la croce posta sul corpo del prete morto, ma improvvisamente uno spirito nero lo attaccò e per lo spavento Jacobs chiuse gli occhi. Quando li riaprì quello spirito era scomparso e a pochi metri c’era un altro spirito che lo salutò con un cenno della mano. <<Grazie Alan!>>, disse Jacobs. Prese la croce, salì sull’altare e recitò la preghiera con il calice in mano. Pian piano il sangue dentro il calice ridiventò acqua santa, gli spiriti scomparvero e tutto ritornò normale. Prima di andare via lo spirito di Jennifer salutò per l’ultima volta Jacobs con un bacio.

Jacobs e i pochi sopravvissuti uscirono dall’abbazia e videro che tutto era normale. Era l’alba, la foschia si era diradata e il querceto era ritornato rigoglioso e pieno di vita.
L’antico cimitero intorno all’abbazia era scomparso.

FINE

  Francesco e Marco hanno scritto questo racconto in prima superiore, ora aspettiamo i vostri racconti.

 

 
 

mercoledì 25 luglio 2012



Non è meravigliosa la natura con i suoi infiniti colori e con i suoi intensi e delicati profumi? Amiamola come lei ci ama e coglieremo  in essa il senso della vita.





Buona estate a tutti voi piccoli amici e divertitevi a rincorrere le nuvole creando storie e vivendo i sogni che preparano alla vita come nel film bellissimo “ È tempo di sognare” che educa e insegna con frasi come- È facile fare amicizia, il difficile è mantenerla-, una magnifica verità.
Foto di Ale





Nanhe, il protagonista del film,  ha otto anni e non sa scrivere…cercate il film, imparerete molto…